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“Se la situazione non dovesse modificarsi radicalmente entro il prossimo trimestre il saldo demografico delle imprese dell’autotrasporto potrebbe avere effetti permanenti sulla tenuta del settore e sulla vitalità imprenditoriale che lo anima”.

Il capoverso che “chiude” il documento riassuntivo dell’indagine periodica realizzata dall’ufficio studi di Confcommercio sulle imprese italiane dell’autotrasporto non lascia spazio a interpretazioni: i dati raccolti attraverso 600 interviste realizzate dall’8 al 15 maggio 2020, con un sistema di rilevazione mediante questionario strutturato, dicono senza ombra di dubbio che anche se dal punto di vista macroeconomico il peggio è passato, per molte imprese del settore (ma non solo) “il peggio deve ancora venire e si realizzerà quando l’estensione temporale della crisi, di liquidità così come di solvibilità, manifesterà pienamente i suoi effetti sui conti delle piccole imprese”.

Uno scenario confermato non solo dal “tema scottante dei prossimi mesi che riguarderà le chiusure definitive di molte imprese”, ma anche dal “grave deficit di natalità che si può già osservare oggi” e che “colpisce soprattutto l’autotrasporto con tassi di denatalità più che doppi rispetto alla media nazionale”.

In altre parole: molte imprese che sono sopravvissute fino a oggi stanno per scomparire e quelle che avrebbero dovuto nascere hanno “abortito”.

Risultati che non possono certo stupire alla luce di quanto avvenuto nel periodo di lockdown durante il quale il settore ha registrato una perdita complessiva di traffico pari a circa 900 milioni di chilometri (percorrendo 1,8 miliardi di chilometri, a fronte di un valore di riferimento per il periodo di circa 2,7 miliardi di chilometri, dato determinato sui valori di traffico pre-crisi) che, calcolando anche le crescenti difficoltà di bilanciamento del carico, cioè della inevitabile conseguenza di fare viaggi di ritorno a vuoto, significa, per l’autotrasporto, un mancato fatturato di circa 1,8 miliardi di euro nel bimestre marzo aprile. Con un impatto negativo anche sull’occupazione, con una perdita in termini di retribuzioni e contributi stimabile complessivamente in circa 370 milioni di euro, coperta solo in parte grazie agli ammortizzatori sociali.

Una vera e propria “Waterloo economica e finanziaria” che ha affossato anche la fiducia dei trasportatori nei confronti di chi guida il Paese: l’indagine periodica realizzata dall’ufficio studi di Confcommercio mette in evidenza infatti, per quanto riguarda il rapporto tra impresa e istituzioni nel campo del sostegno del governo all’attività economica, una “profonda delusione”, frutto delle (mancate) manovre fatte durante l’emergenza, ma anche dell’incapacità ad affrontare, ben prima della pandemia, una crisi del settore che ha radici lontane, tra le quali una regolamentazione incerta sul piano internazionale e un eccesso di fiscalità che non ha eguali in altri settori produttivi.

Risultato: sessantacinque autotrasportatori italiani su cento giudicano “del tutto insufficienti, le misure messe in campo in favore delle imprese per fronteggiare e superare l’emergenza sanitaria” e ritengono che la propria impresa “avrà certamente delle serie difficoltà”. E i titolari di 24 imprese su 100 ritengono “appena sufficienti” le manovre compiute dalla politica e comunque non in grado di impedire che “l’impresa abbia comunque delle difficoltà”. Solo il due per cento degli autotrasportatori promuove l’operato del Governo (con il rimanente 9 per cento di responsabili d’imprese interpellati che “non aveva bisogno delle misure messe in campo”).

Un pessimismo diffusissimo, che ha ormai “contagiato” la gran parte degli autotrasportatori, che lo studio di Confcommercio definisce “non patologico”, perché “confrontando le risposte riguardo alla situazione della propria impresa rispetto alla situazione dell’economia in generale, la valutazione del proprio business è meno sfavorevole”.

La categoria dunque “crede” ancora nella propria attività e nelle proprie capacità: molto meno, invece, in quelle della classe politica alla quale attribuisce, evidentemente, precise responsabilità. Soprattutto per quanto riguarda i tempi di pagamento per un mondo di lavoratori che, già a corto di liquidità, è stato addirittura chiamato a “fornirne” alla committenza che, sull’onda della pandemia (cavalcata in qualche caso senza un vero motivo), ha sospeso e rinviato, in molti casi, addirittura al 2021 i pagamenti.

Il tutto “con previsioni di peggioramento della situazione il che rende cogente il pericolo di chiusura delle attività anche a prescindere dall’equilibrio costi-ricavi”, come sottolinea un passaggio dello studio. Cronaca di un disastro annunciato verrebbe da dire .E con il tempo a disposizione per intervenire ormai ridotto al lumicino. Esattamente come la fiducia di moltissimi operatori che hanno continuato a lavorare, a proprio rischio e pericolo (sanitario e finanziario) anche in piena pandemia, facendosi carico di costi particolarmente rilevanti pur di continuare a portare avanti la propria attività.

Un settore che, affermano sempre gli analisti di Confcommercio, “non è stato mai soggetto a provvedimenti di chiusura” e al quale dunque “implicitamente o esplicitamente, è stato riconosciuto il carattere di essenzialità per il funzionamento dell’economia e della società”.

Un’”essenzialità” di cui la politica non sembra accorgersi. Ma “se la situazione non dovesse modificarsi radicalmente entro il prossimo trimestre….” cosa accadrà?

FONTE: “RUOTE D’ITALIA” RUBRICA A CURA DEL PRESIDENTE NAZIONALE PAOLO UGGE’